ANDATE A LAVORARE – Dams, la nascita di un mito
10 novembre > SALA 1 ore 18
Italia – 2021 – colore – 60’
CREDITS
Regia: Ambrogio Lo Giudice
Sceneggiatura: Cristiano Governa, Ambrogio Lo Giudice
Fotografia: Marcello Dapporto
Montaggio: Paolo Marzoni
Scenografia: Gianpietro Huber
Musica: Francesco Lo Giudice
Costumi: Francesca Brunori
Interpreti: Olga Rui Marchiò, Patrizio Roversi, Lorenzo Volpi e con Renato Barilli, Paola Bistrot, Pino Canucci, Eugenia Casini Ropa, Furio Colombo, Cheti Corsini, Michela Deni, Giulia Frate, Paolo Fresu, Milena Gabanelli, Gianpaolo Gandolfi, Paolo Granata, Roberto Grandi, Gianpietro Huber, Igor Tuveri “Igort”, …
Produttore: Giorgio Ciani
Produzione: Genoma Films
SINOSSI
Il Dams ha una voce propria, individuale ma anche collettiva, una voce che ne racchiude tante quante quelle dei protagonisti che man mano incontreremo. Per raccontare questa storia useremo l’espediente narrativo di una storia d’amore, fra un Lui e una Lei. Più che una storia d’amore, una “dirimpettanza amorosa”. Una sorta di lettera aperta che questo fantomatico Lui (il Dams) spedisce a una misteriosa Lei per fare il punto dei loro primi cinquant’anni “insieme”. La loro è una storia un po’ particolare, per esempio lui non ha capito se lei lo ha lasciato o meno. Se lei si aspetti qualcosa di speciale, una prova d’amore. “Sarai sempre un bambino, non combinerai mai niente – gli disse lei prima di andarsene sotto al portico – che vita farei insieme a te?” Il docufilm è una lettera nella quale il Dams risponde a quella domanda e, attraverso la narrazione della propria storia, le racconta che ne è stato di quello che lei domandò: “Cosa ho combinato?” “Adesso te lo dico…”
NOTA DI REGIA
“Andate a lavorare è un viaggio a ritroso nel futuro che approda ai giorni nostri, un riannodare (attraverso la voce di alcuni dei protagonisti di allora e di oggi) i fili della memoria di quegli anni e la storia di questo esperimento/dipartimento che nacque come unico in Italia per poi felicemente “contagiare” tante altre città. Andate a lavorare era la frase che, più o meno benevolmente, i bolognesi borbottavano al cospetto di un iscritto al Dams. La cosa buffa è che anche lui, il giovane damsiano, sperava di poter lavorare grazie a quello che stava imparando, perché era proprio quella (il Dams) la palestra dei sogni di molti giovani italiani.
Ma qual è realmente la storia di quel manipolo di utopisti che quarant’anni fa decise che era arrivato il momento di rovinarsi la vita pur di essere felici?”