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Micaela Ramazzotti – testo critico

Micaela Ramazzotti – testo critico

Micaela Ramazzotti – testo critico

Davide Di Giorgio

 

Il primo segno che Micaela Ramazzotti imprime nel nostro immaginario è straordinariamente grafico: presenza carismatica nei fotoromanzi teen di Cioè e poi, quasi come per un processo osmotico, eccola graffittara che fa innamorare Dracula in Zora la vampira dei Manetti Bros, dai celebri albi della Edifumetto. Bell’insieme di influenze creative, cui potremmo aggiungere la presenza nel videoclip di Il mondo insieme a te, degli 883, un filone che continuerà occasionalmente a frequentare anche in futuro, con Biagio Antonacci e Claudio Baglioni. Chi c’era all’epoca ricorderà la sensazione di assistere alla nascita di un talento nuovo, fresco, capace di stare nella modernità giovanile e perciò abile nel cogliere bene il tumultuoso insieme di influenze degli anni Novanta, quelli dei cortei scolastici e di una generazione con una voglia febbrile di esserci e farsi sentire. In effetti, anche se poi la sua carriera si è pienamente strutturata, la sua presenza sullo schermo rimane sempre quella di un volto e un corpo pensati per compiere gesti non convenzionali.

In quest’ottica va inquadrato il ruolo che probabilmente resta il suo più significativo, quello di Anna, la madre che dona letteralmente anima e cuore a La prima cosa bella di Paolo Virzì: una figura libera in un’Italia che ancora stava scoprendo la modernità, che parte da un concorso di bellezza e poi intraprende un viaggio disordinato, ma anche allegro e pieno di affetto, così come di incomprensioni, prime fra tutte quelle del figlio Bruno che la crede una donna di facili costumi. Un ciclone di travolgente vitalità, destinato a diventare un piccolo modello per tanto cinema italiano a seguire (pensiamo a L’immensità con Penelope Cruz) e che tara letteralmente il tono del racconto, in una dinamica che sembra una scarica di energia per tenere testa e a volte persino dribblare l’occhio anarchico eppure così pianificatore del cinema di Paolo Virzì.

Il ruolo della madre tornerà in altre pellicole, come in Più buio di mezzanotte, di Sebastiano Riso, dove è fra le poche presenze luminose in grado di comprendere il percorso del figlio circa il travagliato confronto sociale con la sua identità sessuale. Ma ancor meglio andrà quando asseconderà la sua vena più libera, come, ancora con Paolo Virzì, in La pazza gioia, anomalo road movie a due, che sembra un esercizio perfetto di come si può dribblare il modello Thelma e Louise affidandosi all’istinto di una recitazione in grado di osare il gesto non prevedibile. O come con Gli anni più belli, di Gabriele Muccino, altra presenza autoriale forte e che sta addosso agli attori, ma che pure non impedisce alla “sua” Gemma, figura contesa in un vortice di affetti/amori/amicizie, di emergere come una presenza capace di affermare la sua complessità e la sua verità.

Nel turbinio delle collaborazioni che caratterizzano gli anni Dieci del nuovo millennio – in cui la sua attività vive la sua fase più intensa – spiccano naturalmente nomi importanti come Gianni Amelio (La tenerezza), Pupi Avati (Il cuore grande delle ragazze), Daniele Luchetti (Anni felici), Cristina Comencini (Qualcosa di nuovo), Francesca Archibugi (Il nome del figlio): è una fase in cui la sua presenza si fa più solida, i ruoli più marcati, orientati a lasciar emergere una fragilità che vuol far rima con una raggiunta maturità espressiva e interpretativa. È quando però si ritrova la sua vena meno convenzionale, che scatta di nuovo la sorpresa e il ricordo delle folgorazioni degli esordi. In questo senso è geniale l’idea di affidarle il ruolo/non ruolo dell’intelligenza artificiale di Lei, che si sovrappone alla lodatissima performance di Scarlett Johansson nella versione originale: solo una voce, cui si deve letteralmente “dar corpo” per esprimere la ricca gamma interpretativa di un personaggio che sta imparando a stare al mondo per capire la sua prima cosa bella, salvo poi coglierne anche le amarezze, nella delicata e irresistibile parabola dipinta con classe da Spike Jonze.

Il 2023, infine, segna anche il debutto alla regia di Felicità, che riprende con sincerità il suo modello diviso tra le difficoltà del mondo contingente che attentano alla sua fragilità, e una dolcezza interiore con cui porsi quale alternativa nella ricerca del sentimento del titolo. Noi comunque l’aspettiamo al varco anche per nuovi gesti non convenzionali, davanti o dietro la macchina da presa.